Il Diritto degli Animali

Il Diritto degli Animali

La Giurisprudenza relativa ai diritti degli animali è in continua evoluzione. Le Leggi vigenti hanno carattere assolutamente generale e interpretabile, motivo per cui ogni sentenza a favore degli animali diventa un nuovo punto di partenza. Dedichiamo questa sezione ad avvenimenti locali commentando l'applicazione delle leggi per tracciare l'evoluzione della giurisprudenza ed essere di supporto ai cittadini.

 

LA SPERIMENTAZIONE SUGLI ANIMALI

Commento al D.lgs. del 27 gennaio 1992 n. 116 e alla Legge del 12 ottobre 1993 n. 413

La sperimentazione è l'espressione di una crudele e denigrante pratica per la dignità del soggetto e rappresenta il massimo livello di sfruttamento dell'animale, a ciò deve aggiungersi che l'impossibilità dell'animale di prestare il proprio libero consenso determina l'assenza del presupposto etico imprescindibile affinché esperimenti su esseri viventi possano essere effettuati.

A sostegno di questa argomentazione si rileva che una linea di pensiero scientifico sostiene che il ricorso alla sperimentazioni sugli animali non è altro che il frutto di una tradizione scientificamente obsoleta e rilevatrice di una sostanziale arretratezza della ricerca scientifica che la utilizza. A titolo esemplificativo, alcuni casi nei quali gli esperimenti sugli animali hanno ritardato il progresso della medicina hanno riguardato: (i) la chirurgia del by-pass; e (ii) il vaccino antipolio.
Tornando alle sopracitate norme, l''art. 4, comma I°, del decreto 27 gennaio 1992, n. 116, stabilisce che gli esperimenti "possono essere eseguiti soltanto quando, per ottenere il risultato ricercato, non sia possibile utilizzare altro metodo scientificamente valido, ragionevolmente e praticamente applicabile, che non implichi l'impiego di animali". Da tale disposizione di legge emerge chiaramente il dubbio circa l'utilità e la legittimità scientifica della sperimentazione sugli animali. In aggiunta, il secondo comma dell'art. 4 dispone che tra più esperimenti possibili debbono preferirsi, in primo luogo quelli che richiedono il minor numero di animali, poi quelli che implicano l'impiego di animali con il più basso sviluppo neurologico e infine quelli che causano meno sofferenza e dolore.
Nonostante ciò, l'efficacia di queste disposizioni protezionistiche è affidata alla discrezionalità del ricercatore, il quale può raggirare la norma ricorrendo anche ad argomentazioni scientifiche non unanimamente accettate. Per tali ragioni, con la legge del 12 ottobre 1993, n. 413, il Legislatore ha introdotto il diritto all'obiezione di coscienza. Con tale ulteriore norma il Legislatore dimostra di essere consapevole del fatto che la liceità etica della sperimentazione è dubbia e per tale motivo ha voluto consentire ai ricercatori di non essere costretti a praticarla, qualora la considerino immorale.
In concreto la legge prevede la facoltà di esercitare il diritto di obiezione di coscienza a tutti "i cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi".

In conclusione, la valutazione delle leggi è senza dubbio positiva, nonostante siano carenti di forza a causa di gravi problemi applicativi. In primo luogo, il D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 116 pur esprimendosi a favore dei metodi alternativi, lascia la possibilità di eseguire qualsiasi procedura, dato che l'80% degli esperimenti viene autorizzato tramite un meccanismo di silenzio assenso, in assenza di controlli e/o valutazioni, mentre per il restante 20% degli esperimenti vi è un'autorizzazione specifica da parte del Ministero della Salute, nel caso in cui il progetto preveda l'uso di animali vivi non anestetizzati o l'utilizzo di cani, gatti e primati non umani. In secondo luogo, la Legge 12 ottobre 1993, n. 413 non prevede alcuna tutela per il lavoratore privato che maturi la decisione di obiettare dopo la sua assunzione, rendendo di fatto vana la possibilità di opporsi a tale pratica.

 

 

SPETTACOLI E MANIFESTAZIONI CHE COMPORTANO SEVIZIE O STRAZIO PER GLI ANIMALI

Commento all'art. 544 quater del Codice Penale

Il Codice Penale all'art. 544-quater punisce chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportano sevizie o strazio per gli animali, con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
Il secondo comma del sopracitato articolo prevede, inoltre, un aumento di pena, da un terzo alla metà, se i fatti decritti sono commessi in relazione all'esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se deriva la morte dell'animale.

Con il termine "spettacolo" devono intendersi tutte le forme di rappresentazione, gratuite o a pagamento, destinate ad un pubblico che vi può essistere sia attivamente che passivamente, come ad esempio: le proiezioni cinematografiche o circensi. Diversamente, il termine "manifestazione" indica qualsiasi avvenimento destinato ad un vasto pubblico, come ad esempio: esibizioni, dimostrazioni e giochi.
Tali spettacoli e manifestazioni devono causare sevizie o strazio agli animali ovvero un patimento idoneo ad offendere l'integrità psicofisica degli stessi. Risultano, quindi, perseguibili penalmente tutti quei comportamenti produttivi nell'animale di una lesione dell'integrità psicofisica ovvero di un inutile e sadico patimento, come ad esempio quello derivante dall'utilizzo di congegni elettronici, di pungoli o bastoni accuminati.
Il bene giuridico tutelato dalla norma, secondo un'interpretazione letterale, è l'integrita psicofisica dell'animale, mentre l'elemento soggettivo del reato è caratterizzato da dolo generico.
Pur trattandosi di un delitto istantaneo, risulta configurabile il tentativo ex art. 56 c.p. in quanto le condotte punite esigono una pluralità di atti, i quali devono essere indirizzati in modo non equivoco alla realizzazione di uno spettacolo o di una manifestazione che comporti sevizie o strazio per gli animali.

Infine, come sopradetto, il secondo comma dell'articolo in esame prevede una circostanza aggravante qualora i fatti di organizzazione e promozione di spettacoli o manifestazioni vengono commessi: (i) in relazione all'esercizio di scommesse clendestine; (ii) al fine di trarne profitto per sé od altri; (iii) determinando la morte dell'animale. Il fine di trarne profitto non richiede la natura necessarimente patrimoniale dello stesso in quanto può consistere in qualsiasi vantaggio o soddisfazione che l'agente miri a procurarsi.

 

 

61 CANI di CISERANO dic 19

Ricordate i 62 cani che abbiamo trovato in un capannone di Ciserano poi posti sotto sequestro dai Carabinieri Forestali? Prima news: i cani sono divenuti 61 in seguito a imperizia dei "proprietari" nelle fasi di scarcio dal furgone, presso il canile di Cremona cui i Carabinieri Forestali di Bergamo li hanno indirizzati sotto sequestro.
I cani erano stati dichiarati in buono stato di salute e non maltrattati da ATS Bergamo dopo una visita superficiale condotta in loco. I Forestali hanno prescritto ai proprietari di trovare un luogo idoneo per la detenzione dei cani entro il 19 dicembre. Allo scadere della data, i proprietari hanno trovato posto solo per 18 dei 61 cani. 
Nel frattempo, i responsabili del canile che li ospita tutt'ora hanno disposto una perizia accurata di una Veterinaria comportamentalista e il referto denuncia una serie di SITUAZIONI PREOCCUPANTI che andrebbero approfondite prima della restituzione di parte dei cani che ATS ha disposto (con quale potere non è dato di sapersi) per il 27 dicembre e che abbiamo immediatamente notificato ai Carabinieri Forestali.
Stiamo a vedere se le evidenze riportate aprono le porte agli auspicabili e ancor più necessari approfondimenti del caso.
Alle istituzioni ricordiamo che il concetto di proprietà vale fino ai limiti stabiliti dalla 189/2004 e chiediamo di agire di conseguenza.

 

62 CANI di CISERANO nov 19

Abbiamo segnalato alle istituzioni competenti la presenza di circa 60 cani detenuti in un capannone a Ciserano senza gli adeguati accorgimenti igienici e gestiti, ad una prima impressione, non proprio in modo amorevole.I Carabinieri Forestali di Bergamo hanno disposto il sequestro amministrativo e spostato i cani in un rifugio di Cremona in attesa che la proprietaria e l'associazione da lei costituita trovino una sistemazione idonea.

Ma facendo alcune ricerche abbiamo appreso che questa è la terza volta che la Proprietaria viene colta in fallo.Sarebbe opportuno comprendere la natura del fenomeno che evidentemente non si estingue spostando i cani in altro luogo. Ed è quello che faremo nei prossimi giorni.

Negli articoli che seguono, le puntate precedenti, in cui, forse, si sarebbe dovuti intervenire in modo più incisivo.
https://bit.ly/35KWmQT
https://bit.ly/37PQyYb

 

LA CACCIA IN ITALIA set 19

Commento alla Legge n. 157 del 11 febbraio 1992

La Legge n. 157/1992, denominata "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", ha sostituito la legge sulla caccia n. 968 del 27 dicembre 1977.

Nonostante la volontà di abrogazione della caccia espressa da una larga parte delle popolazione italiana, circa 17.790,07 voti favorevoli, in occasione del referendum popolare del 3 giugno 1990 detta legge non ha apportato alcuna novità rilevante sulla protezione della fauna selvatica, al contrario, le specie protette risultano in numero addirittura inferiore rispetto a quanto indicato dalle direttive comunitarie. Sul punto, è necessario ricordare che l'Italia, facendo parte dell'Unione Europea, si è impegnata ad osservare gli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla Tutela della Biodiversità in qualità di Stato membro.

Ciò detto, tornando ad esaminare la Legge n. 157/1992, all'art. 1, comma I°, troviamo sancito il principio secondo il quale "La fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale". Tuttavia, il comma II°, del medesimo articolo, consente l'esercizio dell'attività venatoria su quella stessa fauna che vorrebbe proteggere, a condizione che l'attività venatoria non contrasti con l'esigenza di conservazione della specie.

L'impostazione della legge rende di fatto possibile, ad una minoranza di cittadini, circa il 7% della popolazione italiana, di appropriarsi di un patrimonio indisponibile che in teoria dovrebbe appartenere a ciascun consociato.

Alla luce di quanto esposto, si potrebbe affermare che per la legge italiana tutti devono rispettare gli animali selvatici ad eccezione dei cacciatori che possono legalmente ucciderli.

Appare opportuno ricordare che in Italia la caccia si è resa storicamente responsabile dell'estinzione di numerose specie appartenenti alla fauna locale; in aggiunta, l'attività venatoria è anche responsabile di un forte disturbo determinante elevate soglie di mortalità in diverse specie animali.

In conclusione, si ritiene che l'impostazione dell'attuale legge sulla caccia, non solo non appresti affatto tutela alla fauna selvatica, ma risulti essere anche causa del perpetuarsi di un pesante impatto sul patrimonio faunistico italiano che in teoria dovrebbe appartenere ad ogni cittadino.
In altri termini, come sostenuto da Paolillo "quella degli animali selvatici è l'unica categoria di esseri senzienti ai quali lo Stato, oltre a non riconoscere il diritto alla vita, nega anche quello alla non sofferenza, concedendo una licenza di uccidere che, a differenza di altre situazioni di soppressione di animali, serve a rendere legalmente praticabile un'attività che, proprio nel piacere sadico suscitato dall'uccisione di un altro essere, trova la sua essenza e la sua imprescindibile finalità".

 

I CRIMINI AMBIENTALI ago 19

La deforestazione e gli incendi in Amazzonia possono essere considerati dei crimini ambientali?

La green criminology si occupa di quei danni alle persone, all'ambiente e agli animali commessi dalle istituzioni dotate di potere, dai governi, dalle multinazionali e infine anche dalle persone comuni. Il pensatore alla base della green criminology è stato Micheal Lynch, il quale ritenne che i danni ambientali avessero una dimensione politica, economica e culturale, fondando così la sua teoria sulla prospettiva marxista di dominati e dominatori. In altri termini, all'interno della prospettiva della green criminology non sarà possibile disgiungere la giustizia sociale dalla salvaguardia dell'ambiente.

Ma come può essere definito un crimine ambientale?
Stando a Lynch, un green crime è un'azione che può o meno violare norme esistenti e la legislazione ambientale, avente come effetto un danno ambientale identificabile e riconducibile all'azione dell'uomo.
Accogliere questa definizione di crimine significa non assumere il quadro normativo come modello di riferimento, ossia non collocarsi automaticamente all'interno del circuito giuridico del diritto positivo, ma tenere conto della realtà sociale e dei suoi mutamenti: in altre parole, questa apertura consente di non identificare il crimine con il reato.
Nel termine crimine infatti è presente un disvalore etico, rappresenta quindi un fatto sociale a cui si collega una reazione di disapprovazione da parte della maggioranza dei consociati. Il termine reato invece rappresenta meramente i comportamenti che il diritto positivo intende perseguire, punire o proibire in un dato ordinamento, ma a tale comportamento non è necessariamente collegata una reazione sociale di disapprovazione.

Una definizione di green crime dovrebbe quindi includere concezioni sia legali che non legali.
Stando a Rob White il compito del criminologo consiste anche nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica, tramite l'organizzazione di un campo osservativo su questioni non ancora ritenute reati dalla collettività. 
Ciò detto, la prospettiva della green criminology incorpora tre aree chiave di ricerca: la giustizia ambientale che ha come oggetto di analisi il benessere degli esseri umani riguardo all'ambiente; la giustizia ecologica che interessa direttamente l'ambiente; e la giustizia tra le specie che si interessa al benessere e ai diritti degli animali non-umani.

Tutte le sopracitate forme di giustizia sono state coinvolte da politiche di deforestazione spregiudicate e da incendi dolosi volti allo sfruttamento industriale e minerario della foresta amazzonica. Per questo motivo sia movimenti ecologisti, sia movimenti animalisti -seppur con le dovute differenze che li separano- si stanno adoperando congiuntamente per una forte sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle questioni riguardanti l'ambiente.
La grande sfida per la green criminology sarà dunque quella di riuscire a unire il riconoscimento delle disuguaglianze, insite nei rapporti di dominio, nonché di riconoscere le forme di razzismo/specismo che si trovano sia tra i rapporti tra gli esseri umani, sia tra i rapporti tra umani e animali: sarà così possibile unire le tre forme di giustizia, ambientale, ecologica e tra le specie.

 

E' LEGITTIMO TENERE CANI ALLA CATENA? lug 19

Gli attivisti di LAV sezione di Bergamo hanno liberato cinque cani alla catena da Zanica a Misano Gera d’Adda passando per Villa d’Alme e Brignano.
In Lombardia il Regolamento Regionale del 13 aprile 2017 n. 2, all’art. 6, comma VI, denominato “Responsabilità e doveri generali del detentore di un animale d’affezione” sancisce il divieto di tenere i cani alla catena o applicare loro qualunque altro strumento di contenzione similare, salvo che per ragioni sanitarie certificate da un veterinario o per temporanee ragioni di sicurezza.
Tale prassi spesso attuata dai proprietari dell’animale deve quindi considerarsi illecita ponendosi in espressa violazione del sopramenzionato Regolamento Regionale.
Peraltro, occorre segnalare che la detenzione di un cane alla catena potrebbe configurare anche il reato di maltrattamento di animali, punibile ai sensi dell’art. 544 ter c.p. in quanto per integrare tale fattispecie delittuosa non è necessario che siano ravvisabili delle lesioni fisiche, essendo sufficiente che l’animale sia mantenuto in condizioni assolutamente incompatibili con le sue caratteristiche etologiche.

A tale riguardo, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere configurabile il reato ex art. 544 ter c.p. nell’ipotesi in cui il cane versi in una situazione di grave incuria produttiva di gravi sofferenze, nonché nel caso in cui sia privato della possibilità di movimento. 
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 20468/2007, ha ritenuto configurabile il reato ex art. 544 ter c.p. in un processo avente ad oggetto un pastore tedesco legato ad una catena lunga appena due metri, e quindi esigua rispetto alle sue dimensioni e che non gli permetteva i movimenti naturali per lungo lasso di tempo.
Nel corso della causa il Pubblico Ministero aveva accertato che l’animale veniva lasciato per tutto il giorno in una zona del cantiere priva di ombra e di alcun riparo, ciò era produttivo per lo stesso di gravi sofferenze, determinate non solo dall’incuria, ma anche e soprattutto dall’essere praticamente privato della possibilità di movimento, nonché dall’essere costretto a stare durante le ore più calde delle giornate di agosto in un cantiere assolato o in una cuccia soffocante, priva a sua volta di idonea tettoia.

In conclusione, tenere cani alla catena, oltre ad integrare un illecito amministrativo perseguito con sanzione pecuniaria ai sensi dei regolamenti regionali o comunali ove presenti, può configurare anche un'ipotesi di reato prevista e punita dagli artt. 727 e 544 ter c.p. a seconda delle circostanze riscontrabili nel caso concreto.

 

REATO DI MALTRATTAMENTO DI ANIMALI giu 19

Bene giuridico tutelato: sentimento umano o integrità psico-fisica e salute dell’animale?
L’innovazione più recente nel campo della regolamentazione penale in materia di animali è stata introdotta con la Legge 20 luglio 2004, n. 189 che, tra le tante novità apportate, ha inserito il titolo IX-bis, nel libro II° del Codice Penale denominato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”.
Nonostante la chiara denominazione del titolo IX-bis c.p., occorre domandarsi se il bene giuridico tutelato dalle fattispecie introdotte sia il sentimento umano per gli animali oppure l’integrità/salute dell’animale oggetto di tutela.
L’art. 544-ter c.p. punisce con la pena della reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da Euro 5.000,00 a 30.000,00 “chiunque per crudeltà o senza necessità cagiona lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a fatiche o a comportamenti o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”. La stessa pena si applica “a chi somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla loro salute”.

Sul piano dell’esegesi della norma non vi è alcun riferimento al sentimento umano per gli animali, né alcuna distinzione tra animali capaci di suscitare pietà o compassione negli umani; inoltre non viene nemmeno richiesta la pubblicità del fatto, che sarebbe più compatibile con una tutela orientata al sentimento umano. Viceversa, risultano espressamente utilizzati termini come sevizie, fatiche, lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale.
Un’interpretazione letterale dell’art. 544-ter c.p. ci conduce a ritenere che il bene giuridico tutelato sia l’integrità psico-fisica e la salute dell’animale e non il sentimento umano per gli animali che non viene menzionato in alcun modo nella fattispecie introdotta. In aggiunta, la legittimità di tutelare i sentimenti è controversa specialmente in tematiche che coinvolgono differenti sensibilità.

In conclusione, si ritiene che la dicitura “dei delitti contro il sentimento umano per gli animali” non sia altro che una formula di sintesi volta a spiegare le ragioni umane della tutela ovvero il movente del legislatore e non l’indicazione del bene giuridico tutelato dalle fattispecie designate all’interno del titolo IX-bis c.p.

 

CASO GREEN HILL
La Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna degli attivisti che liberarono i beagle dall’allevamento di Montichiari a Brescia.

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello del Tribunale di Brescia per l’accusa di furto nei confronti dei 12 ragazzi che il 28 aprile 2012 portarono in salvo i primi beagle di Green Hill.

La pronuncia è stata accolta con estrema soddisfazione dal Presidente LAV Gianluca Felicetti che ha affermato: “siamo orgogliosi di aver sostenuto le spese legali di una nostra socia e di aver contribuito per tutti e tre i gradi di giudizio a quelle degli altri imputati, se oggi Green Hill è chiuso per sempre, è anche grazie alla determinazione di questi 12 ragazzi, che hanno disobbedito alla Legge per salvare delle vite ”.

"Del resto, come insegna Thoreau nel suo celebre saggio Disobbedienza civile: “la legge non ha mai reso gli uomini neppure poco più giusti; e anzi, a causa del rispetto della legge, perfino gli onesti sono quotidianamente trasformati in agenti d'ingiustizia”.
Gli avvocati dell’ufficio legale LAV hanno espresso la seguente considerazione in merito all’opposta decisione assunta dalla Suprema Corte rispetto a quella emanata in secondo grado di giudizio: “pur nel rispetto delle decisioni dell’Autorità Giudiziaria, abbiamo fin da subito ritenuto che la condanna degli attivisti fosse in contrasto con il riconoscimento dell’animale quale soggetto, essere senziente e non res, con la conseguenza che gli attivisti coinvolti non hanno assolutamente rubato qualcosa ma piuttosto salvato vite animali da maltrattamenti e uccisioni”.
A tale riguardo, l’inquadramento giuridico dell’animale attraverso il paradigma cosa-proprietà è stato sempre più messo in crisi dalla dottrina penalistica tramite il riconoscimento del carattere senziente degli animali. Sul punto, tra i giuristi che hanno avanzato nuove prospettive capaci di portare un radicale cambiamento della categorizzazione animale anche in ambito civilistico troviamo Favre, Francione e Wise, secondo i quali gli animali, come i minori, possono essere considerati titolari di capacità giuridica e quindi di diritti soggettivi, pur in assenza di una capacità d’agire.

In conclusione, la difesa degli attivisti, infatti, ha contestato fino in fondo che potessero essere ritenuti colpevoli coloro che hanno liberato animali allevati in una struttura in cui è stato successivamente accertato il maltrattamento e la morte dei beagle, invocando la legittima difesa dei ragazzi nell’interesse degli animali, la cui vita non può essere considerata al pari di un bene mobile oggetto di furto.

 

CONDANNA DEI VERTICI DEL DELFINARIO DI RIMINI
Nuovo capitolo nella tutela dei diritti degli animali

Il direttore e la veterinaria del delfinario di Rimini sono stati condannati in primo grado rispettivamente a 6 e 4 mesi di reclusione, entrambi ritenuti colpevoli del reato di maltrattamento di animali, avendo sottoposto, con crudeltà e senza necessità, quattro delfini ospitati nel delfinario a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche e quindi incompatibili con la loro natura anche sottoponendoli a trattamenti idonei a procurare un danno alla salute degli stessi con conseguenti gravi sofferenze.
Durante la fase istruttoria veniva dimostrato dal Pubblico Ministero che la struttura era totalmente inadeguata per garantire il benessere degli animali ospitati, in violazione della normativa concernente la superficie minima delle vasche, oltre ad essere sprovvista di sistemi di raffreddamento e di ombreggiatura con conseguenti temperature elevate per i delfini e con impossibilità per gli stessi di rifugiarsi in zone più fresche vista la scarsa profondità della vasca. Oltre a ciò i cetacei erano anche oggetto di una mal gestione veterinaria che si estrinsecava nella somministrazione di trattamenti farmacologici tali da configurare il reato di cui all’art. 544-ter c.p.

La portata innovativa di questa pronuncia consiste nel fatto che gli animali saranno ora affidati ai Ministeri competenti con conseguente divieto di essere messi in vendita: una novità assoluta ed un ulteriore passo verso il riconoscimento di diritti/interessi in capo agli animali. Nel corso del processo, infatti, la Procura di Rimini e la LAV avevano chiesto ed ottenuto la confisca dei quattro delfini sequestrati nel 2013 dal Delfinario della città al fine di assicurare loro un’esistenza dignitosa e compatibile con le loro caratteristiche
etologiche.
“Siamo stati protagonisti del primo processo in Europa a un delfinario, quello di Rimini, per il quale finalmente sono emerse responsabilità gestionali e strutturali, fino ai controlli, e dunque responsabilità penali rilevanti – afferma la LAV – (…). L’auspicio è che questa storica sentenza di condanna e di confisca di mammiferi marini possa davvero innescare un processo di cambiamento etico e culturale, di cui LAV è portavoce da più di 40 anni, che porti alla riconversione di tutte le prigioni e di tutti gli spettacoli con animali, perché la vera libertà per i delfini è in mare, la vera libertà per gli animali è in natura”.