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Green Hill: il nostro commento giuridico alla storica sentenza di Cassazione

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Ultimo aggiornamento

domenica 22 aprile 2018

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La sentenza della Corte di Cassazione che conferma la condanna a carico dei dirigenti dell’azienda Green Hill pone una serie di interrogativi relativi alle condizioni degli animali negli allevamenti e negli stabulari di tutta Italia, su cui è importante riflettere.

È stato accertato sino in terzo grado che quegli animali (quasi 3.000) erano oggetto di maltrattamento, nonostante, come sottolineato dalla stessa Green Hill, si sia trattato dell’azienda forse più controllata d’Italia, certamente a causa delle proteste sempre più forti di chi ne chiedeva a prescindere la chiusura, per la specifica destinazione dei cani di razza beagle alla sperimentazione animale, poi avvenuta anche per Legge, con l’approvazione del Decreto Legislativo 26 del 20014.

Ed allora cos’è che non ha funzionato, nei controlli nell’azienda, e perché solo nel luglio 2012 vengono per la prima volta accertati i delitti di maltrattamento ed uccisione di animale, ad opera della Procura di Brescia? Ce lo hanno spiegato i Giudici, sia di merito che la Corte di Cassazione, che ha definito i controlli nell’allevamento svolti dalla ASL di Brescia e portati dalla difesa come dimostrazione del corretto funzionamento dell’azienda, ‘del tutto inadeguati, perché si svolgevano attraverso il mero disbrigo di pratiche burocratiche ed amministrative e senza un effettivo controllo sulla sorte degli animali’.  E poi, come era possibile ritenere che andasse tutto bene in un allevamento intensivo di quasi 3000 cani, con un solo medico veterinario e neanche tutto il giorno presente ad occuparsene? Cosa accadeva ai cani malati, abbandonati la notte senza alcun presidio sanitario h24?

Ed ancora, la sentenza della Cassazione conferma che a Green Hill gli animali erano uccisi perché non curati adeguatamente o semplicemente invendibili, scrive il Collegio che l’eutanasia è stata praticata per ‘patologie modeste e dopo periodo di cura troppo brevi’, ‘per le precise e consapevoli scelte aziendali di non curare i cani affetti da demodicosi e di non somministrare flebo a quelli affetti da diarrea’. Su questo capo di imputazione è emerso che semplicemente nessuno di tutti quelli che entravano a fare i controlli ed ispezioni amministrative pregresse al sequestro, che pure la stessa Green Hill produceva a sua difesa, abbiano mai anche solo chiesto all’azienda ed ai suoi vertici, perché gli animali morivano o erano uccisi. Ma un controllo pubblico sul ‘benessere’ degli animali previsto dalla legge, può non prevedere la verifica sul perché un animale è ucciso o muore nella struttura?

La lettura dei contenuti di questa sentenza, e dei suoi principi di diritto in termini di applicazione del delitto di maltrattamento ed uccisione di animale, pone quindi la imprescindibile necessità  che gli operatori delle strutture commerciali animali, siano esse allevamenti o stabulari, prendano atto che a prescindere dalla destinazione degli animali alla morte, per attività ad oggi previste dalla legge, sono tenuti a garantire le migliori condizioni di vita possibile agli stessi, sia in termini di rispetto delle caratteristiche etologiche, che di cura sanitaria, e che evidentemente non possono ‘disfarsi’ degli animali malati, alla stregua di prodotti invendibili, uccidendoli, ma sono tenuti a curarli. E coloro che sono addetti ai controlli devono verificare che ciò avvenga.

La Corte di Cassazione, con la sentenza citata, ha chiarito quindi che la vita e la salute, sia fisica che psicofisica, degli animali anche se posseduti per attività commerciali ha un valore che deve essere preservato, pena l’integrazione dei delitti in questione.

Avv. Carla Campanaro

COMMENTO INTEGRALE

Foto (C) Filippo Venezia