Home | Notizie | Pellicce di foca, Corte UE respinge secondo ricorso

Pellicce di foca, Corte UE respinge secondo ricorso

Leggi l'articolo

Ultimo aggiornamento

mercoledì 01 maggio 2013

Condividi

Ancora una volta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato la validità del bando europeo al commercio dei prodotti di foca, e con sentenza dello scorso 25 aprile, ha respinto in primo grado il secondo ricorso avanzato da rappresentanti dell’industria di trasformazione dei prodotti di foca e con il quale chiedevano l’annullamento del Regolamento UE 737/2010 della Commissione recante modalità di applicazione del Regolamento CE 1007/2010 del Parlamento UE e del Consiglio sul commercio dei prodotti derivanti dalla caccia alle foche.

Già il primo tentativo di smantellare il bando europeo con la richiesta di annullamento del regolamento di base, il 1007/2010, era stato respinto dalla Corte di Giustizia Europea nel settembre del 2011 (sentenza impugnata); ora anche questo ulteriore attacco che mira all’annullamento delle disposizioni attuative ha subito la stessa sorte.
“E’ bene ricordare che in questo lungo e complicato contenzioso avviato già pochi mesi dopo la votazione che ha portato all’approvazione da parte del Parlamento Europeo del Regolamento che ha fatto salva la vita di milioni di foche e dei loro cuccioli, dietro a false argomentazioni in cui si lamentano gravi danni alle popolazioni indigene Inuit che vivono della caccia alle foche, si nascondono interessi commerciali di società afferenti l’industria mondiale della pellicceria: tra i ricorrenti in questo procedimento vi sono infatti nomi quali Canadian Seal Marketing Group e Fur Institute of Canada che chiaramente non rappresentano gli interessi di popolazioni locali ma solo il proprio business”, dichiara Simone Pavesi, Responsabile LAV Campagna Pellicce.
“La Sentenza della Corte di Giustizia ha chiarito quindi, ancora una volta, che il divieto europeo al commercio dei prodotti derivanti dalla caccia commerciale delle foche (e che fa salvo quindi il ristretto commercio di prodotti derivanti dalla filiera sostenibile e certificata Inuit, riconosciuta dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni) non arreca alcun danno alle popolazioni indigene, è perfettamente conforme alla legislazione europea e quindi non presenta vizi giuridici”, conclude Pavesi.
Oltre ad avere respinto il ricorso, la Corte ha condannato i ricorrenti a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.