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SOS delfini, la vera libertà è...in mare! Dolphin watching a Sanremo con Tethys

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Ultimo aggiornamento

domenica 03 agosto 2014

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Avvicinare i delfini nel loro habitat naturale, osservarne i comportamenti senza partecipare al loro sfruttamento negli acquari e nei delfinari, è possibile. Ed è l’unico modo per conoscerli davvero.
Per questo, nell’ambito della campagna europea “SOS Delfini”, insieme a Marevivo - in collaborazione con Tethys Research Institute - abbiamo organizzato, oggi 4 agosto, un’uscita nel Mar Ligure, a bordo del motorsailer “Pelagos”, per avvistare questi meravigliosi cetacei.

L’area di avvistamento fa parte del Santuario Pelagos, la prima area protetta d’alto mare del mondo, che vanta probabilmente la maggior concentrazione di balene e delfini del Mediterraneo. In un Paese come il nostro, con 30 aree marine protette, Lav, Marevivo e Tethys Research Institute vogliono dare una testimonianza di come sia possibile avvistare i delfini nel loro habitat naturale, partecipando ad un’esperienza unica ed emozionante, non comparabile con alcuno spettacolo in un delfinario, che mostra solo finzione e costrizione.

L’esperienza è stata resa possibile dal contributo di Tethys Research Institute - associazione onlus di ricerca scientifica dedita, dal 1986, allo studio e alla tutela dei cetacei all’interno dell’area protetta del Santuario Pelagos – che mette a disposizione la propria imbarcazione ed i suoi esperti biologi, per fare dolphin watching e raccontare la vera libertà dei delfini.

-    In natura i delfini, che percorrono fino a 100 km al giorno, vivono in gruppi sociali complessi, composti da decine di animali, e parlano un loro linguaggio, oltre a sviluppare una propria cultura.
-    Nei delfinari, invece, questi cetacei sono costretti a fare spettacoli o ad essere esposti ai visitatori. Per divertire un pubblico pagante, sono sottratti alle loro comunità originali, prelevati in natura e fatti riprodurre direttamente in piscina, dove si ammalano di più e muoiono prima. La speranza di vita di un delfino in cattività è, infatti, di circa 20 anni contro i 50 anni in natura. Senza contare che, per ogni animale portato in delfinario, 9 in media ne sono morti tra cattura, trasporto e adattamento.

Visitare i delfinari anche con i bambini, come spesso accade, è a dir poco diseducativo perché non si può imparare nulla dall’osservazione dei delfini in cattività: nessuna di queste strutture può garantire agli animali la libertà di esprimere comportamenti naturali né può offrire un ambiente che riproduca in minima parte quello naturale. I delfini sono mammiferi con fortissimi legami sociali e familiari ed in cattività subiscono una forte deprivazione sociale, esasperata dalla difficoltà di comunicare con i compagni, a causa del rumore e dell’alterazione che lo spazio chiuso provoca sui loro suoni. Questi animali, vivendo in un ambiente artificiale, appaiono “depressi” e il più delle volte sono sottoposti a terapia farmacologica e ormonale. 

Oltre a queste considerazioni, valide per qualsiasi delfinario, va osservato che i delfinari presenti in Italia non hanno alcuna funzione educativa né scientifica o di conservazione della specie, perché non rispettano queste caratteristiche, obbligatorie per legge, facendo invece mero spettacolo: un inganno che i potenziali visitatori devono conoscere e a cui va messa la parola fine, a tutela degli animali costretti a questa inaccettabile prigionia.

Nel 2013 LAV, Marevivo e Born Free Foundation hanno lanciato in Italia “SOS delfini”, una campagna per la liberazione dei delfini dalla cattività, che prevede una petizione per dire basta alle prigioni d’acqua, che finora ha raccolto 55 mila firme.
La metà degli Stati dell’UE hanno vietato o, comunque, non autorizzano i delfinari. In Italia ne rimangono tre attivi: Zoomarine (a Torvaianica, alle porte di Roma), Oltremare (a Riccione), l’Acquario di Genova. 
Il delfinario di Rimini è, invece, attualmente al centro di una vicenda giudiziaria per maltrattamento di delfini: nel settembre del 2013, infatti, il Corpo Forestale dello Stato ha proceduto ad un sequestro preventivo degli animali, poi confermato dalla Cassazione nel marzo del 2014.

Barbara Paladini