Ingannevole qualunque dichiarazione che attesti il benessere. È necessaria la riforma della normativa.
Il pollo “da carne” in allevamento è cresciuto in modo innaturale, selezionato geneticamente e sfruttato per massimizzare la produzione. Il comparto zootecnico, per rispondere alla domanda indotta dalla narrativa stessa del modello alimentare attuale, devasta infatti questi animali.
Il pollo in un allevamento è macellabile in sempre minor tempo e, poco più che pulcino, in 35 giorni raggiunge il peso per essere trasportato al macello ed ucciso. Spesso l'animale collassa sulle proprie zampe, che non reggono più il peso di un corpo troppo pesante e sproporzionato, voluto così dall'industria per soddisfare la richiesta, in particolare di petto. Quasi la totalità di polli allevati ha ustioni sotto le zampe, muscoli infiammati e un petto rigonfio, solcato da striature bianche anomale (white striping). Per i veterinari che certificano la salubrità dei polli portati al macello è però tutto normale, visto che gli animali, da un punto di vista igienico-sanitario, sarebbero sicuri.
MUTILAZIONI E CANNIBALISMO
In allevamento gli
animali, ammassati in alte densità in strutture chiuse e fatiscenti, non
possono soddisfare, in quei pochi giorni di vita, alcun bisogno etologico e le
loro condizioni sono aggravate anche da mutilazioni che spesso subiscono: il
taglio del becco nel caso dei polli, per evitare che l'alto livello di stress
degli animali, inevitabile per le condizioni cui sono costretti, non sfoci in
episodi di cannibalismo. Per veterinari
e forze dell'ordine anche questo è del tutto normale, perché la normativa
attuale permette queste condizioni e tali mutilazioni.
ANIMAL WASHING E MANCANZA DI TRASPARENZA
Queste situazioni
sono la norma in allevamento e le grandi aziende che allevano e vendono polli tacciono
e distolgono l'attenzione con puntuali operazioni di animal washing, beffandosi
del consumatore.
Come ad esempio Fileni, che la scorsa settimana ha annunciato l'estensione dei criteri sul benessere animale previsti dall'European Chicken Commitment (ECC) anche alla propria filiera convenzionale. Fileni dichiara di aver migliorato la tipologia di razze allevate, introducendo una quota del 27,5% di animali a crescita più lenta (Ranger Classic 15,5%, Hubbard JA Co Nu 10,1%, JA87 1,9%).Tuttavia, con i vecchi standard rimane la stragrande maggioranza della produzione Fileni, azienda ricordiamo anche attenzionata dall'inchiesta della trasmissione Report che aveva documentato condizioni di allevamento terribili.
Il punto critico è anche la mancanza di trasparenza in tema di etichettatura che non specifica dettagli utili e che spesso si traduce in ennesimo escamotage del comparto zootecnico per avere accesso a fondi e finanziamenti.
URGE LA RIFORMA NORMATIVA
Più che
etichettature, disciplinari volontari, certificazioni “green” e “friendly”, spesso
affatto incisivi sulle reali condizioni degli animali, è urgente la riforma
normativa promessa dall'Europa, per innalzare davvero gli standard di tutela
degli animali allevati.
In ogni caso è fondamentale rivedere il modello alimentare attuale, sia a livello politico che a livello individuale. Ciascuno può fare la differenza, scegliendo di non nutrirsi di crudeltà e di optare per una alimentazione a base vegetale.
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