"L’abbandono” è il nuovo romanzo di Diana Letizia, dove le relazioni
umane s’intrecciano con il vissuto degli animali. Una esperienza che non sempre
ha connotati negativi, come un tradimento; può rappresentare anche una liberazione
quando si lasciano andare le catene dei ricordi e dei rancori.
Ne parliamo con
l’autrice, direttrice di Kodami, ringraziandola per la scelta di destinare i
diritti del romanzo alla LAV.
Nel tuo romanzo “L’abbandono” parli dell’unicità del rapporto con gli animali. Dovremmo essere più consapevoli di questo legame così unico?
Chi ha un ricordo
indelebile del primo momento in cui ha incontrato “il cane della sua vita” può
tornare proprio a quell’attimo con la mente e lì troverà il momento esatto in
cui la scelta si è tra- sformata in responsabilità. E a coloro che quell’attimo
non lo hanno ancora vissuto, assolutamente sì: è necessario che oltre al
pensare all’emozione del momento si faccia una riflessione profonda di quanto
quella scelta rappresenti un momento fondamentale nella nostra vita ma anche in
quella di un altro essere vivente. Sono ancora troppe le adozioni fatte sulla
scia di emozioni non razionali che portano, purtroppo, spesso proprio
all’abbandono. Con troppa, tanta superficialità.
Il romanzo si svolge tra Marocco, Genova e Napoli, con molte differenze di gestione dei randagi, fino ad una strage di cani in Marocco. In Italia è vietato sopprimere i randagi ma in altri Paesi no. Sarà possibile un giorno evitare provvedimenti così violenti?
Il cammino di evoluzione
dal punto di vista culturale che abbiamo fatto in Italia ci ha portato a una
conquista importante che è quella di aver così protetto e difeso il diritto
alla vita dei cani come singoli individui e non numeri. Ma destinarli a quella
che poi si tramuta spesso in una “non vita”, confinandoli nei canili senza
prevedere dei veri percorsi di adozione e riabilitazione comportamentale dove
necessario, è un ulteriore passaggio che il nostro ordinamento ancora deve
fare. E sono passati oltre 30 anni da una Legge quadro che, dal mio punto di
vista, non può più essere considerata “all’avanguardia” sebbene l’Italia ci sia
arrivata prima rispetto ad altre realtà. È vero che in altri paesi, come racconto
nel romanzo, si continuano a sterminare i randagi ma anche lì stanno iniziando
a sorgere strutture lager in cui finiscono individui che avevano la libertà nel
sangue e a cui viene privata per sempre la possibilità di vivere su un
territorio che non appartiene solo a noi umani. Di tutte le esperienze di
convivenza e di gestione che esistono nel mondo, dai paesi nordici a quelli del
Sud del mondo, credo che oggi dovremmo trarre il meglio dell’esperienza degli
uni e degli altri e che proprio nel nostro Paese c’è la sensibilità per
realizzare nuovi per- corsi e nuove normative a tutela della relazione umani
e cani. Tutto questo ritengo debba essere fatto a fronte di campagne di
sensibilizzazione che coinvolgano in primis chi gestisce la cosa pubblica (Sta to, Asl, Regioni e Comuni).
Come Direttrice di Kodami qual è il tema che ti ha dato maggiore gioia e quale il più drammatico?
La gioia è quotidiana
nello scoprire quanto il mondo degli animali sia pieno di individui che vivono
la realtà in maniera così differente da noi umani e non per questo “migliore” o
“peggiore”, provando anche loro delle emozioni e con cognizione, facendo delle
scelte che derivano non semplicemente dalla mera sopravvivenza ma dal cercare
anche, perché no, la felicità nel farlo o nel provare tristezza: emozioni
secondarie, non solo quelle primarie per spiegarmi meglio.
Sicuramente uno dei temi a
cui sono più legata è aver portato alla luce il fenomeno delle staffette da Sud
a Nord, attraverso una nostra video inchiesta che ha ad oggi milioni di
visualizzazioni sui nostri account social. Quell'approfondimento l'ho voluto
fortemente per sostenere chi le fa in maniera saggia e oculata, con percorsi
basati su collaborazioni tra volontari ed educatori che dal Meridione al
Settentrione si parlano e valutano cani e persone ma smascherando, allo stesso
tempo, un business milionario causato da altri che speculano. Spesso molti
soggetti vengono prelevati da territori in cui avevano la loro dimensione di
vita per finire, dopo il fallimento dell’adozione, in canili del nord bollati
come “fobici”.
La storia che mi
attanaglia cuore e mente è il destino dei cani di Satriano, un branco che ha
assalito e purtroppo ucciso Simona Cavallaro, una ragazza di 19 anni. Il
processo di primo grado si è chiuso condannando il pastore a tre anni di
reclusione, quei 12 soggetti da subito sono stati condannati a “un fine pena
mai” nonostante Kodami abbia trovato soluzioni per destinare almeno alcuni di
loro a percorsi di riabilitazione. Recentemente siamo tornati a Satriano e
abbiamo raccolto la testimonianza del padre di Simona che ha voluto
sottolineare, attraverso noi, che quei cani non sono di certo i “responsabili”
della tragica fine della giovane ed è importante parlarne per evitare il
ripetersi di fatti così tragici.
Gli animali familiari sono veri compagni di vita. Perché adottare un animale abbandonato ha un valore aggiunto?
Ma come si può comprare un
compagno di vita? Come si può pensare che un altro essere vivente abbia un
prezzo, come si compra un abito o una macchina? Io non vedo altra strada per
chi è davvero pronto ad accogliere un animale in famiglia se non consigliare di
fare una passeggiata in canile, appunto. La visita si può trasformare in un
cammino a sei zampe con un amico accanto che, sono certa, dimostrerà quanto
l’abbandono, appunto come vorrei che fosse recepito il messaggio del mio
romanzo, può trasformarsi in una risorsa. I cani ci dimostrano che la tanto
abusata parola “resilienza” ha davvero un senso: basta osservarli e
rispettarli, tutto ciò che ne verrà quando si sceglie di entrare in una vera
relazione sarà una delle esperienze più belle che entrambi - cane e umano -
potranno fare in questo viaggio chiamato vita.
Impronte - Magazine LAV
Ottobre 2023
Diana Letizia – L’abbandono Round Robin Editrice www.roundrobineditrice.it (pagg. 293)
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