La grande ombra dell'agroindustria sull'importantissimo incontro in corso a Belém in Brasile.
A Belèm, in Brasile, è in corso la COP30 sul clima dove centinaia di delegati da tutti i Paesi stanno discutendo delle strategie per provare ad affrontare la crisi del cambiamento climatico. Ma sarà la volta buona per mettere finalmente al centro la necessità di ripensare completamente il modello produttivo dell’agroindustria basata sull’allevamento?
Sono emerse linee di azione inadeguate, come quella di utilizzare l’agricoltura rigenerativa per assorbire le emissioni della zootecnia, senza quindi indicare la riduzione di produzione e consumi di carne e altri prodotti derivati, dagli scienziati considerata imprescindibile. O vedere la produzione di carne come elemento positivo e non fortemente negativo, visto lo spropositato utilizzo di risorse, nella lotta alla fame nel mondo. Distruggere le foreste per ricavarne mangimi e stipare miliardi di animali in crudeli allevamenti industriali non significa "sfamare il mondo" , ma distruggere il pianeta con un costo ambientale, sanitario e anche etico enorme. Inaccettabile.
Le popolazioni indigene fortemente minacciate proprio dall’agroindustria (“big ag”) hanno manifestato per ribadire il diritto a vivere in quei luoghi e la necessità di tutelare le foreste e la natura. Nei giorni scorsi c’è stata la People’s March, uno dei più grandi momenti di mobilitazione finora organizzati, che ha sottolineato ancora una volta la responsabilità distruttiva dell'agricoltura industriale, sulla deforestazione, la perdita di biodiversità e il collasso climatico, in particolare causati dall'allevamento e dal commercio globale di mangimi.
Il discorso è tanto radicale quanto semplice: business as usual non funziona, non lo dicono degli attivisti sovversivi, ma lo dice lo stesso IPCC (Comitato Scientifico Intergovernativo per i cambiamenti climatici) ed una quantità di scienza sterminata: è giunto il momento (è superato da tempo in realtà) di riconoscere la necessità di cambiare paradigma produttivo del sistema alimentare attuale. E a Belèm, nella Marcia, è anche stato rimarcato il legame tra clima, biodiversità, diritti umani e sofferenza dei miliardi di animali, individui senzienti massacrati dalla produzione zootecnica.
Se si parla di “giustizia climatica”, è semplicemente ipocrita non considerare la necessità di cambiamento che i cittadini in tutto il mondo, a partire dall’Europa, chiedono ai propri governi. Il Brasile è un esempio emblematico, poiché in questo Paese, sede della COP, l'agricoltura industriale sta causando deforestazione e perdita di biodiversità. Si tratta del primo Paese esportatore di bovini al mondo, e del terzo produttore di carne dopo Cina e USA. Un gigante della zootecnia, dove hanno sede alcune delle aziende di produzione di carne più grandi e ricche del pianeta, che esportano animali e mangimi in tutto il mondo, oltre che più inquinanti e in alcuni casi protagoniste di scandali legati alla corruzione (per esempio JBS), proprio perché per aziende come queste il potere politico è essenziale per continuare a garantire i propri interessi a scapito degli interessi collettivi.
Alle prese con gli effetti distruttivi del cambiamento climatico da un lato, e dall’altro la costante gestione di malattie che dilagano proprio negli allevamenti e causano la morte di milioni di animali, spesso uccisi come forma di “pulizia”, stiamo sempre più giocando con il fuoco. Proprio in queste fabbriche infernali dove gli animali soffrono per tutta la loro vita, al momento, è in corso l’ennesima epidemia di influenza aviaria, anche in Italia. Negli USA, nel frattempo, un nuovo caso umano dove è stata isolata una nuova variante del virus dell’aviaria, H5N5. Gli animali sono al centro di questo meccanismo distruttivo, loro malgrado, prime vittime di una catena che va interrotta.
Clima, ambiente, salute pubblica, diritti umani e diritti animali. Sono tutti elementi essenziali di uno stesso sistema. Per un futuro realmente sicuro è necessario sostenere la transizione verso sistemi alimentari che non si basino sullo sfruttamento degli animali ma sulla giustizia ecologica, e se questa non sarà una linea chiaramente definita dalla COP30, sarà l’ennesima, grave, occasione persa.