Aiuta la scelta o normalizza il dolore imposto agli animali?
L'allevamento è crudele, sottopone gli animali a costanti costrizioni, fisiche e psicologiche, impossibilità di esprimersi e violenze sistematizzate: riproduzione imposta, gruppi sociali sfaldati e obbligati, separazione madri figli, procedure dolorose e invasive come le mutilazioni, condizioni di vita in ambienti spogli e privi di stimoli, noia, paura, fatica imposta dalla selezione genetica che ha trasformato i corpi degli animali in funzione dei pezzi chiesti dal mercato, morte violenta e prematura.
Non c'è un singolo aspetto,
nella vita degli animali allevati per diventare cibo o “fornire” prodotti
derivati come latte e uova, che non sia violento e strettamente controllato
dall'uomo, dalla macchina della produzione. Ancora prima prima che nascano,
vista la selezione genetica e il totale controllo dei caratteri fisici degli
animali. Questo rimane il punto, e rimane l'obiettivo: liberare gli animali dagli allevamenti.
Nel dibattito che sempre più si sta creando su questo tema, e sulle possibili soluzioni più o meno effettive ed immediate, entra anche il ruolo dell'etichettatura nell'indirizzare consumi e scelte, che dovrebbero essere informate e consapevoli e in quanto tali favorire la transizione verso un modello di produzione e consumo vegetale che lasci la sofferenza fuori dal piatto.
LA VAGHEZZA DELLE ETICHETTE
Ma le etichette che
parlano di “benessere animale” sono notoriamente vaghe, più uno strumento di
marketing, green washing e animal washing, che di vera conoscenza di cosa
si nasconde nel processo produttivo che ha portato fino al supermercato. Questo succede sistematicamente, pensiamo
anche solo alle confezioni di uova che ritraggono galline libere nei prati,
salvo poi riferirsi a galline allevate a terra (ovvero al chiuso nei capannoni,
per terra, ma non all'aperto sulla terra). O a diciture come “nel
rispetto del benessere animale”.
Ma cosa vuol dire? Gli animali vivono all'aperto? Non subiscono mutilazioni? Vivono in condizioni sociali adeguate alle loro caratteristiche? Un'etichettatura oggettiva e trasparente può dare indicazioni su cosa si nasconde dietro ad un prodotto.
L'ETICHETTA SVIZZERA A CONFRONTO CON LA PROPOSTA MASAF-SQNBA
Un'etichettatura come quella svizzera rappresenta un tentativo di sollevare il
velo su queste produzioni indicando se gli animali hanno subìto mutilazioni
senza anestesia o analgesici, pratiche tuttora consentite e standard
nell'allevamento di maiali, mucche, polli – per dirne alcuni – che subiscono la
castrazione il taglio della coda e dei denti, la decornazione, il taglio del
becco.
In un rapido paragone, nulla di tutto ciò sarà visibile
sull'etichettatura SQNBA prevista dal MASAF, che prossimamente arriverà nei
supermercati italiani proveniente da allevamenti di maiali e di bovini e che
promette di essere l'ennesimo slogan privo di sostanza – per di più finanziato
da fondi PAC. L'etichetta SQNBA sarà richiesta dai produttori su base volontaria e ci si aspetterebbe quindi che gli standard fossero estremamente elevati.
E invece questa etichetta non vieta che nell'allevamento degli animali siano usate gabbie, tollera che ai maiali venga tagliata la coda anche se è una pratica vietata dalla normativa se su base routinaria, e ammette la posta fissa dei bovini Anche l'accesso al pascolo e quindi all'aperto è previsto per un numero di giorni estremamente limitato durante l'anno.
Dall'altra parte, obiettivo dichiarato dell'etichetta svizzera è quello di porre lo sguardo del consumatore su pratiche dolorose “invisibili” ma costantemente perpetrate, su cui si fonda il settore nella sua essenza. Quello svizzero è un tentativo che potrebbe andare in una direzione positiva, se favorirà il superamento delle pratiche più efferate dell'allevamento, innescando un cambiamento produttivo ma anche sociale.
È NECESSARIA UN'EDUCAZIONE ALIMENTARE INDIPENDENTE
Ricordiamoci però che etichettare un prodotto, sia in modo positivo che che negativo ha dei limiti, può creare consapevolezza ma presto
normalizzarsi, perdendo così efficacia.
Prima di tutto manca a tutti i livelli un'educazione alimentare indipendente, che possa formare cittadini e consumatori ancor prima di arrivare davanti agli scaffali del supermercato.