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World Wildlife Day: una celebrazione degli interessi umani a discapito delle altre specie


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Ultimo aggiornamento

venerdì 01 marzo 2024

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Sì può concepire una ricorrenza epurata dall'antropocentrismo?

Le Nazioni Unite presentano così l'undicesima ricorrenza della Giornata Internazionale della Natura o, meglio, della “wildlife”, cioé di tutti gli esseri viventi selvatici che compongono la biosfera:

Ovunque i popoli dipendono dagli esseri viventi selvatici e dalle risorse basate sulla biodiversità per soddisfare i nostri bisogni – dal cibo, al carburante, medicine, alloggio, e abbigliamento. Per permetterci di godere dei benefici e della bellezza che la natura porta a noi e al nostro pianeta, i popoli hanno lavorato insieme per assicurarsi che gli ecosistemi possano prosperare e le specie di piante e di animali possano esistere per le future generazioni.[1]World Wildlife Day - UN

Tuttavia, leggendo queste parole più che la celebrazione della natura sembra che si festeggi lo sfruttamento della stessa, la sua riduzione a puro e semplice strumento per il soddisfacimento dei bisogni pratici ed estetici delle comunità antropiche, esistenti e future.

Ma è possibile celebrare gli altri viventi prescindendo dai vantaggi diretti e indiretti che essi apportano alle persone, come i miglioramenti ambientali, sanitari ed economici?

Si può concepire una giornata internazionale della natura epurata dall'antropocentrismo, da sempre prima minaccia per tutto ciò che non è umano?

Emblematico è il caso dei cosiddetti grandi carnivori, animali capaci di resistere al nostro ostinato tentativo di ridurli a commodities, a beni consumabili, oppure a una sorta di giardinieri zoomorfi, a manutentori del nostro territorio, in quanto erodono visibilmente il nostro indiscriminato imperio sulla natura, chiedendoci ingenti sforzi per riuscire a condividere gli spazi con loro.

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Com'è noto, in questo periodo l'Italia sta patendo una recrudescenza della demonizzazione a cui sono stati sottoposti per secoli i grandi carnivori non soltanto nel nostro paese, ma in tutto il mondo. Infatti, l'esplosione demografica della nostra specie è stata accompagnata da un'incessante persecuzione venatoria atta a stanare, braccare e massacrare questi animali, mentre orde di umani colonizzavano e deturpavano il loro habitat, la loro casa. L'imperativo antropocentrico sentenziava lapidario: non c'è spazio per sia per noi che per voi, non c'è alcuna possibilità di convivere! Tuttavia, dopo secoli di ostinati, tremendi tentativi di sterminare questi predatori per proteggere anche la nostra più irrisoria velleità, attenendosi ai dettami dello specismo più radicale, la società occidentale ha finalmente deciso di lasciarsi alle spalle il proprio riprovevole, barbarico passato per garantire loro un futuro, offrendo non solo luoghi dove poter abitare e spostarsi a proprio piacimento, ma anche una rigorosa protezione della loro vita e della loro libertà.

Un mutamento di direzione rivoluzionario concretizzatosi soprattutto nella seconda metà del secolo scorso grazie alle normative internazionali e nazionali, che hanno conferito a questi animali uno status giuridico di tutela particolare, ma anche grazie all'impegno della biologia della conservazione. Infatti, con l'inizio del nuovo millennio la disciplina ha ridefinito il proprio intento fondamentale, non appiattendo più l'analisi delle interazioni tra persone e animali selvatici, tra cui spiccano i grandi carnivori, sulla risoluzione delle situazioni problematiche a favore e dal punto di vista umano, ma utilizzandola come mezzo per costruire una dimensione pacifica e rispettosa che consenta tanto a noi quanto a loro di prosperare. Finalmente non si parla solo di gestione del conflitto, ma si reclama a gran voce la pianificazione e la piena implementazione della coesistenza. Lupi, orsi e gli altri grandi predatori non sono più percepiti come ostacoli, sorgenti di danno o di pericolo, nemici naturali la cui presenza è impensabile in quanto inconciliabile con la nostra, per cui devono essere “prelevati” al pari di una somma di denaro, ossia “abbattuti”, “eradicati” come fossero vegetali.

Dunque, nell'ardua impresa di archiviare l'antropocentrismo, l'Homo sapiens si sta impegnando a rinunciare alla proprietà esclusiva, prevaricatrice, violenta del pianeta. Ma esattamente chi sono i beneficiari di tale tormentata abdicazione? Per la biologia della conservazione la risposta è scontata: non è importante questo o quel lupo, questo o quell'orso, non sono gli “esemplari” ma le “specie”, le “popolazioni” a meritare la nostra attenzione e tutela.

Infatti, è palese che non ogni compagine ha egual valore, per esempio: i castori migrati nel nord est Italia dall'Austria rappresentano una sorta di manna dal cielo dal punto di vista ecologico, mentre i castori insediatisi nel centro della penisola sono una minaccia da annichilire, in quanto, a differenza dei cugini settentrionali, reintrodotti illegalmente per mano dell'uomo, dunque stigmatizzati come alloctoni; i pochissimi orsi abruzzesi sono un patrimonio sacro, involabile del nostro paese, tanto da indurre le amministrazioni locali a perdonare loro le incursioni nei centri urbani, mentre gli orsi trentini, non appena la loro popolazione ha mostrato un barlume di stabilità, devono essere “gestiti” a fucilate. Oltre all'autoctonia, alla rarità (e all'immaginario sociale che contribuisce, consciamente o meno, a delineare la prospettiva degli scienziati) l'etica conservazionista verte su un altro perno fondamentale: il beneficio che una popolazione apporta all'ambiente. La virtuosità delle due specie succitate è un ottimo esempio di questa vocazione ecologista; infatti, l'orso bruno è una “specie ombrello” poiché la sua presenza è un fattore chiave per la conservazione di altre componenti ambientali, mentre il castoro europeo viene addirittura definito “ingegnere ecologico”, in quanto trasfigura le località in cui si insedia rendendole ideali a ospitare una moltitudine di forme di vita.

Chiarito ciò, risulta ancora arduo comprendere a chi giova questo profondo, per quanto recente, limitato ed esitante, mutamento di sguardo verso la natura. Tanto è evidente, intuitivo percepire la soggettività di un animale, il suo essere una rete di bisogni, urgenze, desideri intrecciata con il proprio ambiente, quanto risulta patetico tentare di affibbiare alla specie intenzioni, interessi, emozioni, impulsi per sopravvivere o propagarsi, in quanto essa non è un'entità concreta, reale, tanto meno può essere dotata di agentività.

Come asseriva il padre della teoria evoluzionista, Charles Darwin: “considero il termine specie come riferito arbitrariamente e per comodità a un insieme di individui molto simili l'uno all'altro”[2]. Insomma, “specie”, “varietà”, “popolazione” e simili non sono altro che convenzioni linguistiche mutevoli, comode e arbitrarie, canonizzate dagli specialisti per riferirsi a entità corporee, materiali, ovvero a organismi simili, ma non identici.

Quindi, per concludere e rispondere in maniera pragmatica, non antropocentrica, al quesito iniziale “perché festeggiare la natura?” è necessario identificare preventivamente gli effettivi beneficiari di tale ricorrenza, coloro che dovrebbero godere della detronizzazione dell'Homo sapiens conseguente alla rivoluzione evoluzionistica e alle sue pesanti ripercussioni sull'impianto culturale, scientifico e normativo della società occidentale. L'unica via per coniugare il conservazionismo all'antispecismo è trasformare l'animale: l'“esemplare”, mera parte di una popolazione, specie o ecosistema, diventa una pluralità di soggetti attivi, di individui unici capaci di provare dolore e piacere nell'esplorazione della propria realtà. In questa banale constatazione è suggellato il loro diritto a ricevere un trattamento morale, il medesimo che rivolgiamo a un animale umano. Soltanto in questo modo due correnti di pensiero apparentemente affini ma così differenti nella pratica potranno seppellire una volta per tutte l'ascia di guerra per celebrare insieme la giornata internazionale di tutti i selvatici.

La vera idea di umanità”, scriveva Darwin, “sembra che sorga per caso, dalle nostre simpatie che si vengono sempre più teneramente e ampiamente diffondendo, fino a che si estendono a tutti gli esseri viventi”[3]

Adesso spetta a noi il compito di sostentare e rafforzare questo millenario mutamento evolutivo, affinché a nessun individuo senziente sia negata aprioristicamente la personale, inviolabile dignità in quanto “non umano”: un monito valido non solo per i membri delle specie carismatiche, quali sono i grandi carnivori, ma anche per la fauna selvatica più vessata, per i cinghiali, per le nutrie, per i ratti e per ogni altro animale vittima delle più preistoriche, pretestuose nefandezze attuate senza rimorso dai nostri conspecifici.


[1]People everywhere rely on wildlife and biodiversity-based resources to meet our needs - from food, to fuel, medicines, housing, and clothing. For us to enjoy the benefits and the beauty that nature brings us and our planet, people have been working together to make sure ecosystems are able to thrive and plant and animal species are able to exist for future generations” (https://wildlifeday.org/en/about).

[2] Cit. C. Darwin, L'Origine delle Specie, BUR Rizzoli, Milano, 2019, p.62

[3] Cit. C. Darwin, L'Origine dell'Uomo e la Selezione Sessuale, Newton Compton Editori, Roma, 2011, p.108.