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Perche' in Italia non si vuole fare ricerca innovativa?

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Ultimo aggiornamento

lunedì 04 maggio 2020

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In questo tragico momento che mina i nostri affetti più cari e le nostre sicurezze, dobbiamo pretendere una ricerca innovativa che possa far fronte all’emergenza sanitaria mondiale che stiamo vivendo. Le risposte per curare l’uomo (e l’intero Pianeta), non sono nei topi o nei gatti, ma nei modelli human-based.

Una richiesta sostenuta da numerosi scienziati e centri di ricerca, che non ricevono adeguate risorse in termini di visibilità, personale e finanziamenti, fagocitati da potenti e onnipresenti laboratori che fanno ricerca su animali.  

Tra questi la dott.ssa Digiacomo, medico, consigliere Direttivo di ISDE (International Society of Doctors for The Environment) e presidente OSA, che sottolinea “il virus necessita di utilizzare le strutture della cellula ospite per potersi replicare, in altri termini non vive e non esplica le sue funzioni senza un ospite. Fondamentale quindi, per capire i meccanismi alla base dell’eziopatogenesi della sua attività infettante, è conoscere l’ospite, in questo caso l’uomo.  Il virus si comporta come una “chiave” che entra dentro una ben precisa “serratura”. Questa “serratura” è simile in tutta la specie umana, ma non identica, infatti si parla di polimorfismi genetici, che condizionano in maniera rilevante la risposta dell’ospite all’insulto virale, che è poi alla base del processo infiammatorio. Un’altra considerazione è però necessaria: la risposta dell’ospite non dipenderà solo dalle sue caratteristiche genetiche, ma in maniera rilevante dal contesto ambientale in cui è inserito, o ha vissuto o vive, e questo è alla base dell’epigenetica, nuovo paradigma imprescindibile per approcciare lo studio delle malattie. Da queste brevi considerazioni si evince come solo una ricerca improntata sulla biologia umana, quindi “human based”, potrà dare risposte attendibili, e questo tipo di ricerca si può fare solo e unicamente con i nuovi approcci metodologici che, integrati fra loro, possono dare risposte veramente utili. È oltremodo disarmante constatare come, di fronte a modelli di ricerca su animali dimostratisi oramai fallimentari e che andrebbero relegati agli scantinati ammuffiti di fine ottocento, nei quali in realtà ebbero inizio, non ci sia la volontà di utilizzare ed esplorare l’innovazione”.

Il contributo della dott.ssa Digiacomo