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Test animali per sostanze chimiche: perché non metodi alternativi?

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Ultimo aggiornamento

domenica 23 marzo 2014

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L’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) ha indicato i test su animali come procedure di riferimento, nel documento di attuazione del Regolamento REACH relativo ai prodotti chimici e ha suggerito il ricorso a test su animali nei casi per cui esistono alternative (irritazione oculare e cutanea o tossicità acuta) e in altri per i quali è possibile ovviare al ricorso a modelli animali (sensibilizzazione cutanea e mutagenicità).

L’onorevole Andrea Zanoni (PD) in merito ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea con cui chiede quali siano stati i criteri e perché il ricorso ai metodi in vitro sia suggerito solo tra le note finali.

“L'Agenzia europea delle sostanze chimiche sta contravvenendo a tutte le indicazioni europee di progressiva sostituzione dei test sugli animali con metodi alternativi - afferma l'eurodeputato PD Andrea Zanoni – Ho l'impressione che ci troviamo di fronte a una certa ritrosia a innovare i metodi di ricerca, e di indifferenza per la sensibilità dei cittadini europei sempre più contrari a questi test”.

"L’ECHA non è nuova nell’evitare una corretta informazione in relazione ai metodi alternativi e sostitutivi dei test su animali – commenta Michela Kuan, biologa e nostra responsabile Vivisezione – e ciò è ancora più grave visto che lo stesso Regolamento REACH, all’articolo 13, ribadisce come siano da considerarsi prioritari mezzi diversi dai test su animali vertebrati, attraverso l’uso di metodi alternativi, ad esempio metodi in vitro o relazioni qualitative o quantitative struttura-attività, o dati relativi a sostanze strutturalmente affini”.

I metodi alternativi trovano sostegno sia nell’opinione pubblica che tra i ricercatori ma, soprattutto sono sostenuti da norme europee e nazionali, secondo cui le sperimentazioni senza animali non sono solo preferibili, ma totalmente prioritarie rispetto al modello in vivo.

“Ciò nonostante anche metodi alternativi scientificamente riconosciuti da oltre 50 anni, sono costantemente ostacolati per comodità, inerzia culturale e ingenti interessi economici, fattori pagati ad alto prezzo sulla pelle di milioni di animali e cavie umane – prosegue Michela Kuan – Battersi per una ricerca sicura, utile ed etica per l’uomo significa anche pretendere una nuova scienza che non ricorra più a un modello mai validato, fuorviante e immorale come la vivisezione”.