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Emergenza Covid-19 in macello Treviso: chiudere impianto per limitare i rischi

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Ultimo aggiornamento

giovedì 27 agosto 2020

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Il nuovo, massiccio focolaio di Covid-19 (182 casi di positività su 700 addetti, con 560 test effettuati) scoppiato fra dipendenti e addetti dello stabilimento AIA di Vazzola (Treviso) ci fa di nuovo riflettere, come già lo scorso giugno, sul pericolo enorme rappresentato dagli allevamenti e dalle attività ad essi collegate.

In questo caso si tratta di polli, tantissimi: l’impianto in questione ha al suo interno un macello che, come comunicato dalla prefettura di Treviso, non può essere chiuso perché ciò comporterebbe l’abbattimento diretto – senza passare dalla catena di ‘smontaggio’ degli animali che li rende ‘adatti’ alla tavola dei consumatori - di circa 1,5 milioni polli.

Sono questi i numeri che fanno rilevare, ancora una volta, come il sistema di produzione alimentare attuale presenti rischi elevati per il facile propagarsi di contagi  tra dipendenti, ma anche fare il pericolosissimo salto tra animale e uomo, come accaduto in altre occasioni.

I macelli, e per esteso gli allevamenti intensivi, sono delle vere e proprie bombe ad orologeria già innescate che solo cambiando stile alimentare possiamo disattivare.
Riteniamo che le misure adottate a Treviso (riduzione del 50% della produzione) non siano adeguate, esse rappresentano l’ennesima tutela per una filiera produttiva ad alto impatto ambientale e ad elevato rischio sanitario per la diffusione di malattie animali e umane.

Le autorità dovrebbero invece chiudere la struttura e adottare misure di prevenzione lungo tutta la filiera come misura straordinaria di sanità pubblica, considerata la situazione contagio che ha - per ora - pochi precedenti per luogo e numeri. Un simile provvedimento si muoverebbe in direzione del cambiamento, necessario e urgente per diminuire rischi che sono in innegabile aumento.

Non basta la crisi della zootecnia Made in Italy che, come rilevato da Il Sole24Ore, vede un crollo dei consumi - causa pandemia e conseguente chiusura ristoranti - del 30% circa a ridurre i rischi.  I recenti aiuti per 35 milioni di euro – cifra destinata alla sola ‘produzione’ bovina – sarebbero stati meglio devoluti a sostegno di una riconversione verso la coltivazione di proteine vegetali per alimentazione umana, meno impattanti e meno pericolose per tutti, animali e ambiente compresi.

Paola Segurini, Area Scelta vegan
Roberto Bennati, Direttore generale