A cura di Carla Campanaro e Roberta Poscente - Ufficio Legale LAV
Con la Legge 6 giugno 2025 n. 82 “Modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e altre disposizioni per l'integrazione e l'armonizzazione della disciplina in materia di reati contro gli animali” (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 137 del 16 giugno 2025) in vigore dal 1 luglio 2025, il legislatore è tornato a modificare il quadro normativo di riferimento sulla tutela penale degli animali, dopo poco più di vent'anni dalla Legge n. 189 del 2004.
Tale intervento, d'altra parte, si è reso improcrastinabile anche a fronte di forme preoccupanti di crimini commessi nei confronti degli animali, come purtroppo testimoniano sempre più spesso le cronache.
Il primo aspetto significativo da rilevare nella riforma è certamente la nuova dizione della rubrica del Titolo IX-bis del Libro secondo del Codice penale “Dei delitti contro gli animali” che prende il posto del precedente “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”, così individuando in via diretta l'animale quale destinatario specifico della tutela penale, recependo il riconoscimento già cristallizzato dall'articolo 13 del Trattato di Lisbona e dal novellato articolo 9 della Costituzione che ha introdotto la tutela animale trai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.
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Per quanto attiene alle sanzioni previste per i reati, si evidenzia un generale aumento delle pene per le fattispecie di reato di cui al libro II del Titolo IX del Codice penale, tra cui l'uccisione di animali ai sensi dell'articolo 544 –bis la cui pena passa dalla reclusione «da quattro mesi a due anni» alla reclusione «da sei mesi a tre anni» ora congiunta con la multa «da euro 5.000 a euro 30.000». Sempre rispetto a tale reato è introdotta un'aggravante che stabilisce la pena della reclusione «da uno a quattro anni e la multa da euro 10.000 a euro 60.000» per chi uccide adoperando sevizie o prolungando le sofferenze dell'animale.
Anche per il reato di maltrattamento è previsto un aumento sanzionatorio: la pena passa dalla reclusione «da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro» alla reclusione «da sei mesi a due anni» a cui si aggiunge la pena pecuniaria ora in via congiunta e non più disgiunta. Oltre ciò, è introdotto l'aumento della metà della pena anche laddove dalla somministrazione agli animali di sostanze stupefacenti o vietate ovvero dalla sottoposizione a trattamenti che procurano un danno alla salute possa derivare la morte degli stessi. Per quanto riguarda i reati previsti dagli articoli 544 – quater e 544 – quinques si osservano altresì degli aumenti di pena: la multa per chi organizza o promuove manifestazioni o spettacoli che comportino sevizie o strazio per animali è aumentata infatti «da 3.000 a 15.000 euro» a «da 15.000 a 30.000 euro», mentre per il reato di combattimenti tra animali la reclusione - estesa anche a chi partecipi ai combattimenti - passa «da uno a tre anni» a «da due a quattro anni».
Anche il reato previsto dall'articolo 638 c.p. (Uccisione o danneggiamento di animali altrui) ha subito diverse modifiche: la fattispecie consta ora di un unico comma che punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque uccide, rende inservibili o deteriora tre o più animali raccolti in gregge o in mandria o compie il fatto su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria. Inoltre, è venuta meno la procedibilità a querela di parte, aspetto che ne rende più efficace l'accertamento e la repressione.
Nonostante gli innalzamenti di pena evidenziati, tuttavia, a tali reati continueranno ad applicarsi gli istituti deflattivi del procedimento come la non punibilità per particolare tenuità del fatto e la sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché di estinzione del reato come la sospensione condizionale della pena che di fatto determineranno condanne poco efficaci, prive di effetti deterrenti e, quindi, inadeguate sia sul piano preventivo che repressivo.
Per quanto concerne le aggravanti, con l'entrata in vigore della riforma la pena per chi uccide animali, li maltratta, li impiega nelle manifestazioni non autorizzate o nei combattimenti, li uccide o danneggia se raccolti in mandria o negli altri casi previsti dall'articolo 638 c.p. è aumentata fino a un terzo se i fatti sono commessi in presenza di minori, nei confronti di più animali o se l'autore diffonde, attraverso strumenti informatici o telematici, immagini, video o altre rappresentazioni del fatto commesso, ad esempio pubblicando sui social le immagini del reato. Come purtroppo osservato da LAV, questi casi sono sempre più frequenti nella prassi: tra tutti, infatti, ne è un triste esempio il gattino Grey di Alberobello morto dopo essere stato lanciato dalla sua aguzzina con un calcio in una fontana mentre questa riprendeva e condivideva via social la gravissima scena.
Miglioramenti si registrano in taluni casi rispetto alle pene accessorie nonché per l'avvenuta codificazione dell'istituto della cessione definitiva degli animali nelle more del processo che consente, alle associazioni o a loro subaffidatari che ne facciano richiesta, di svincolarli sin da subito attraverso il versamento di una somma a titolo di cauzione stabilita dall'autorità giudiziaria (cosiddetto deposito cauzionale). Questo strumento - proposto dalla LAV già a partire dal 2012 e applicato nella prassi in innumerevoli procedimenti penali, sia per i reati di cui agli articoli 544-ter, 544-quater, 544-quinquies, 638 del Codice penale e di cui all'articolo 4 della Legge 4 novembre 2010, n. 201 che per l'ipotesi di reato di cui all'articolo 727 comma II c.p. - ha consentito di salvare negli anni un numero elevato di animali sottraendoli dagli esiti incerti dei processi, inserendoli sin da subito in famiglie in grado di gestirli o presso strutture adeguate alla loro particolare etologia per assicurargli una nuova vita.
Sempre per i delitti previsti dagli articoli 544-bis, 544-ter, 544-quater, 544-quinquies e 638 del Codice penale e dall'articolo 4 della Legge 4 novembre 2010, n. 201, consumati o tentati deve aggiungersi anche la positiva previsione del divieto, per l'indagato, imputato o proprietario, di abbattimento o di alienazione a terzi degli animali (salvo i casi di cessione definitiva alle associazioni o loro subaffidatari) nelle more del procedimento e fino a sentenza definitiva, anche qualora sugli stessi non sussista il vincolo cautelare del sequestro.
E' stata prevista, come proposto da noi di LAV, anche l'estensione dell'applicabilità delle misure di prevenzione previste dal libro I, titoli I e II del Decreto legislativo n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia) ai soggetti abitualmente dediti agli spettacoli o manifestazioni vietate (544- quater del Codice penale), ai combattimenti tra animali (544 -quinquies del Codice penale) o ai delitti previsti dalla Legge 4 novembre 2010, n. 201: la previsione di questi strumenti risulta, infatti, fondamentale per garantire che i reati non vengano portati ad ulteriori conseguenze a scapito degli animali vittime.
Tra gli aspetti certamente più controversi vi è però l'introduzione del divieto, sanzionato in via amministrativa, di detenzione di cani e gatti alla catena o con altro strumento similare che ne impedisca il movimento, derogabile in alcune ipotesi tassative: in presenza di documentate ragioni sanitarie (quindi a fronte di certificazione medico veterinaria) o per temporanee esigenze di sicurezza - ovvero per la necessità di far fronte a un evento che mette a rischio, in via temporanea, l'animale stesso o l'incolumità di persone o di altri animali (non potranno perciò essere addotte permanenti ragioni di sicurezza). Nell'attuale quadro normativo, deve evidenziarsi come tale disposizione risulti facilmente travisabile se non letta secondo un'interpretazione sistematica delle norme e della giurisprudenza penale in materia.
Questa materia, infatti, è già disciplinata in via amministrativa da numerose leggi regionali – come quelle di Calabria, Campania, Marche e Umbria – che vietano tale pratica crudele o da altre che prevedono deroghe più stringenti, le quali potranno comunque continuare ad applicarsi se migliorative dal punto di vista della tutela offerta al bene giuridico protetto. Le norme regionali possono introdurre, infatti, previsioni più restrittive delle leggi nazionali in ambito amministrativo, atteso che la competenza in tema sanità - sotto cui ricade la tutela animale - è concorrente tra Stato, Regioni e Province Autonome. Anche i divieti più stringenti contenuti nei Regolamenti Comunali per la tutela degli animali dovranno continuare ad essere osservati in quanto coerenti con la norma nazionale: trattasi, invero, di previsioni migliorative adottate secondo i modi e le forme delineati dal legislatore nazionale, come previsto anche nella nostra Costituzione.
Peraltro, tale divieto è sanzionato in via amministrativa ma “salvo che il fatto non costituisca reato”:sarà quindi possibile, in continuità con quanto già accadeva in passato [1], l'integrazione dei reati di cui agli articoli 544-ter e 727 comma II del Codice penale in tutti quei casi in cui la condotta è attuata in violazione delle prescrizioni contenute nell'articolo stesso ma determini anche lesioni fisiche o psicofisiche o gravi sofferenze agli animali coinvolti, anche in relazione alle modalità generali di gestione degli animali e, ad esempio, alla lunghezza della catena. Le autorità chiamate ad intervenire, pertanto, ben potranno - e dovranno - in presenza di questi ulteriori elementi continuare a trasmettere all'autorità giudiziaria la relativa notizia di reato.
Si segnala, infine, il gravissimo passo indietro che consente ad allevatori e commercianti di identificare cani e gatti oltre i termini previsti dalla Legge minando alle fondamenta il contrasto al traffico di cuccioli contro cui con determinazione si è combattuto in questi ultimi anni. Il microchip, infatti, potrà essere inoculato anche oltre i due mesi con grave pregiudizio per la tracciabilità di cuccioli dall'origine incerta e della sorte degli animali invenduti.
In conclusione, nonostante le modifiche positive della nuova Legge sopra evidenziate, rese possibili anche alla luce dell'intenso lavoro sul campo portato avanti da venti anni dalla LAV, dalle altre associazioni, dalla magistratura italiana e dalle forze di polizia per il contrasto al maltrattamento animale e alle altre attività illegali, la riforma non costituisce nel complesso quel passo in avanti decisivo e ambizioso richiesto anche dall'articolo 9 comma 3 della Costituzione che dal 2022 impone al legislatore di intervenire a tutela degli animali.
Se da un lato, infatti, la nuova Legge ha il merito di aver cristallizzato alcuni tra i principali approdi a cui la società civile e la giurisprudenza sono giunte in questi lunghi anni di applicazione della Legge n. 189 del 2004, dall'altro non convince l'intervento poco incisivo sulle pene - che non permetteranno il ricorso a efficaci strumenti investigativi e consentiranno ancora di accedere a strumenti deflattivi del sistema penale quale la tenuità del fatto o la messa alla prova - e sulle misure accessorie non espressamente estese purtroppo a tutti i reati in danno agli animali. In questa stessa direzione anche l'assenza di modifiche rilevanti agli articoli che riguardano la tutela della fauna selvatica seppur in vista di un'importante Direttiva – quella sulla tutela penale dell'Ambiente – che il legislatore europeo ci impone di recepire, la mancanza di risorse stanziate per la formazione degli operatori del settore e per la creazione di centri per la custodia degli animali sequestrati e confiscati, la mancata istituzione, nella banca dati delle Forze di polizia, di un'apposita sezione riguardante i reati contro gli animali, la mancata introduzione del divieto di detenere animali per chi li maltratta o li uccida o li impieghi nei combattimenti, come anche delle fattispecie colpose di maltrattamento e uccisione di animali a cui non ha fatto da contraltare, come ci si sarebbe attesi, un potenziamento della fattispecie di detenzione di animali in condizioni incompatibili ai sensi dell'articolo 727 comma II c.p., rispetto alla quale non vi sono stati particolari passi in avanti nonostante il rilievo assunto da tale reato sia nella prassi che nella giurisprudenza penale.
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[1] È bene precisare come la Terza Sezione
della Corte di cassazione in più di una occasione abbia ritenuto integrato il
reato di cui all'articolo 544 -ter c.p. o 727 II comma c.p. in caso di
detenzione di cane a catena, anche considerate le condizioni igienico sanitarie
generali e ambientali di detenzione (Corte di cassazione Sezione III 9
giugno 2011, sentenza n. 26368).