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Gli orrori dei laboratori di vivisezione: una storia trasversale e senza confini

Da oggi, venerdì 27 giugno, è online il documentario "Infiltrata nel bunker", un lungometraggio che ripercorre i 18 mesi trascorsi dalla investigatrice Carlota Saorsa all’interno del laboratorio spagnolo Vivotecnia.

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Ultimo aggiornamento

venerdì 27 giugno 2025

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Ricerca senza animali

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Vicende collegate da un fattore comune: la sofferenza di esseri senzienti

Oggi, venerdì 27 giugno, verrà reso disponibile online il documentario “Infiltrada en el bunker” (Infiltrata nel bunker), un lungometraggio che ripercorre i 18 mesi trascorsi dalla investigatrice sotto copertura - Carlota Saorsa - all’interno del laboratorio spagnolo Vivotecnia, in cui, quotidianamente venivano inflitte sevizie e torture agli animali rinchiusi.

Era il 2021 quando, grazie alle immagini e ai video raccolti di nascosto da Carlota Saorsa e resi pubblici da LAV la coalizione di cui facciamo parte, Cruelty Free International, venivano denunciate le atroci sevizie a cui erano sottoposti gli animali rinchiusi in quelle gabbie.

Cani, conigli, macachi, maiali e topi erano quotidianamente oggetto di vere e proprie torture che si aggiungevano a quelle previste dalla sperimentazione per la quale erano rinchiusi: picchiati, lasciati agonizzanti al suolo e sottoposti a procedure invasive senza alcuna anestesia.

Le autorità spagnole hanno adottato inizialmente misure cautelari, dando false speranze alle migliaia di persone che per giorni hanno manifestato chiedendo la chiusura definitiva del centro di vivisezione. A tutto questo però, non ha fatto seguito alcun progresso nell’indagine, tanto che a distanza di pochi mesi Vivotecnia ha potuto riprendere la sua attività come se nulla fosse, con il benestare delle autorità competenti e ricevendo addirittura sovvenzioni pubbliche per proseguire nei suoi esperimenti.

Questo però, non è un caso isolato, ma solo uno dei tanti esempi di maltrattamento che emergono quando le telecamere riescono a entrare in luoghi che, almeno sulla carta, dovrebbero rispettare normative ben precise per tutelare i diritti minimi degli animali presenti.

In India, pochi giorni fa, sono state denunciate da PETA le condizioni in cui vengono tenuti migliaia di animali nelle gabbie del più grande centro di sperimentazioni del paese: le immagini raccolte hanno mostrato cani beagle lasciati agonizzanti al suolo, maiali avvelenati e macachi uccisi tra atroci sofferenze. Tutto questo ha portato le autorità indiane ad una investigazione ufficiale a carico dell’azienda, che ci auguriamo porti alla chiusura definitiva di questo luogo degli orrori.

Tutta questa “atroce attualità”, non può che farci ritornare con il pensiero a situazioni vicine ai nostri occhi, come il caso dell’università di Catanzaro (per cui noi di LAV siamo stati riconosciuti parte offesa) e gli animali ancora rinchiusi nell’azienda Aptuit.

Da oltre quattro anni ci battiamo con tutte le nostre forze e senza mai arrenderci: una battaglia che ha portato al sequestro di 51 animali e alla sospensione per 6 mesi di due autorizzazioni, ma che non è ancora finita.

A settembre, infatti, ci sarà la prima udienza del procedimento penale per cui sono imputati l’allora amministratore delegato e il veterinario, mentre nei prossimi mesi verrà reso pubblico l’esito dell’udienza al TAR che ha il potenziale di poter salvare migliaia di beagle da nuove sperimentazioni.

Tutte queste vicende sono collegate da un fattore comune: la sofferenza di esseri senzienti, in nome di una scienza obsoleta e che non contribuisce alla salute umana, ma piuttosto ne rallenta il progresso.

Noi di LAV, così come il mondo della ricerca che crede davvero nell’innovazione, pretendiamo che l’unica ricerca possibile sia quella etica e senza animale, per il bene di tutti e tutte.

Credit photo: Cruelty Free International/ Carlota Saorsa